LA PITTURA FUNERARIA DELLA DAUNIA/APULIA SETTENTRIONALEMarina Mazzei Premessa Solo da pochi anni ritrovamenti inattesi hanno consentito di aprire nello studio della pittura parietale apula d'eta preromana un nuovo, significativo capitolo. AIle scarne testimonianze canosine già note da tempo, ma spesso sopravvissute solo in descrizioni letterarie o documenti grafici (ipogei Lagrasta e Barbarossa) e di rado nella originalità del monumento (ipogeo Sant'Aloia), se ne sono affiancate altre che hanno consentito di ampliare il quadro geografico e culturale tracciato negli anni '60 in quella che tuttora rimane la sola preziosa monografia sull'argomento, cioè quella edita nel 1965 da Fernanda Tiné Bertocchi: La pittura funeraria apula. I documenti, oltre che a Canosa, si riferiscono ad insediamenti localizzati a nord del fiume Ofanto, cioè a Salapia e Arpi. Purtroppo, salvo rare eccezioni, Ia maggior parte dei ritrovamenti è segnata da circostanze casuali che ne hanno consentito il recupero alla collettività, con la dispersione di dati estremamente significativi per la loro comprensione globale. Da anni, infatti, scavi archeologici clandestini flagellano il nord della Puglia: Ie tombe per il loro pregiato contenuto rappresentano l'obiettivo primario di un saccheggio selvaggio operato in dispregio della legge dello Stato italiano che di recente nella provincia di Foggia si rivolge anche a manufatti architettonici (capitelli, frontoni) e decorativi (mosaici) sia delle tombe sia degli spazi abitativi. Questa particolare circostanza serve a motivare lo stato il più delle volte parziale dei documenti pittorici presentati, mutilati di parti ma anche privati di altri elementi significativi. È questa la ragione per cui delle tombe di cui si tratta non potranno esser presentati i corredi funebri la cui conoscenza, invece, consentirebbe di leggere in modo globale e puntlrale il significato del documento pittorico. La pittura su parete ha inizio nel mondo daunio a partire dal IV secolo a.C.: quanto noi conosciamo si riferisce quasi esclusivamente a strutture funerarie di ceti sociali emergenti. Stando ai racconti delle fonti le aristocrazie locali del tempo erano molto potenti a Canosa, Salapia ed Arpi. Divenute in quel secolo città-stato dotate di autonomia e con ampi territori di pertinenza, esse avevano riorganizzato il loro sistema produttivo basato soprattutto sulle culture cerealicole, un processo che portò alla formazione di un ceto dotato di enormi ricchezze. Solo la guerra annibalica, nelle alterne vicende che scandirono in Puglia gli anni finali del III secolo a.C., determinò mutamenti nell'organizzazione di queste aristocrazie. Tuttavia, in più di un caso è provata la continuità del loro prestigio nei due secoli che seguirono se grandi ipogei funerari continuarono ad essere utilizzati dalle ricche famiglie locali. Cosi, ad esempio, ricordiamo che nell'ipogeo Lagrasta I di Canosa l'iscrizione “Medella Dasmi filia”, pdsta presso un'urna cineraria, conferma l'uso del monumento ancora nel 67 a.C. Fra il IV e il III secolo a. C. si diffuse l'uso delle tombe a camera, costruite (Arpi, Salapia) o scavate nel banco naturale (Canosa), con l'impiego di elementi decorativi, pittorici e scultorei: la loro adozione era ornamentale, ma anche funzionale ad linguaggio più complessivo che, almeno nel progetto e nella costruzione originaria, l'intera architettura tendeva ad esprimere. Di questo linguaggio erano parte integrante anche i materiali che si deponevano con il defunto, gli oggetti d'ornamento personale, armi e vasellame. L'insieme della tomba e dei materiaii deposti, e della sfera figurativa a questi spesso associata, era funzionale non solo alla rievocazione delle credenze religiose del defunto (quindi un uso, per cosi dire, individuale), ma anche (attraverso manifestazioni di ricchezza o l'esplicitazione del modello di riferimento) all'affermazione del ruolo rivestito all'interno della comunita dal gruppo familiare del morto. Purtroppo, le particolari condizioni di conoscenza degli ipogei, cui si è accennato, e il loro uso ripetutosi per più secoli consentono di proporre solo cronologie “di massima”: la scarsa attenzione sinora prestata alle differenti fasi costruttive e decorative e ai corredi che si riferivano ai morti sepolti al loro interno non consentono di riconoscere scansioni cronologiche e, pertanto, le sequenze talvolta proponibili si basano solo su un filo stilistico e/o ideologico. Peraltro, non si conoscono a pieno i momenti salienti dei funerali dei personaggi più importanti delle società apule. Piccoli indizi fanno però pensare a cerimonie articolate che prevedevano, alla presenza di piangenti, offerte al morto, musiche e danze, come si vedrà poi nel dipinto della Tomba dei Cavalieri di Arpi, ove al corteo prendevano parte anche cavalieri e carri trainati da bestie da soma. Certamente dopo il funerale i corridoi di accesso agli ipogei venivano interrati impedendo la frequentazione del loro interno dopo quel momento: possiamo però immaginare che in qualche caso rimanesse a vista il piano superiore (ipogeo Lagrasta II, Canosa), in altri un naiskos (tomba fondo Cassano, Salapia), o la Medusa nell'omonimo ipogeo di Arpi. La riapertura delle tombe a camera, in occasione di altre deposizioni della stessa famiglia o di persone ad essa in qualche modo afferenti, comportava lo svuotamento del dromos e il rifacimento della facciata, cioè della parte maggiormente a vista, con la creazione di nuovi piani di discesa. Ai documenti pittorici figurati si affiancano quelli decorativi che di frequente coesistono all'interno di uno stesso programma di pittura. Che la pittura parietale ornamentale fosse adottata e con alti livelli di qualità è provato dalle straordinarie testimonianze degli ipogei canosini Barbarossa e Lagrasta II. In entrambi la camera principale presentava un'articolata partizione parietale pittorica con finte finestre incorniciate da tondi imitanti borchie metalliche; queste nel caso della Lagrasta II erano campite con animali fantastici, sirene o arpie, proponendo schemi più usati in ambiente alessandrino. Peraltro, che la Daunia durante l' ellenismo sia divenuta una fucina di esperienze pittoriche è provato anche dalle straordinarie pitture che, con altre figurate su cui torneremo in seguito, decoravano il vestibolo e la cella centrale dell ipogeo della Medusa di Arpi la cui straordinaria decorazione pittorica aderisce ai modelli dello stile strutturale, con partizioni parietali in rosso e in azzurro. L'esempio si sposa con il recentissimo rinvenimento sempre ad Arpi della casa del mosaico dei grifi e delle pantere, con decorazioni di tipo strutturale, alle quali si associano sovente cornici di stucco con kyma dorico, fregi con anthemion dipinto o inciso e campito di colore azzurro. Le pitture Arpi In Daunia il più antico documento di pittura parietale figurata ù rappresentato dalla tomba arpana detta dei Cavalieri, di grande importanza per la ricucitura delle relazioni e degli influssi artigianali del periodo. A semicamera era decorata con la scena di un corteo funebre: Ia defunta, accornpagnata da un'ancella, era su una quadriga guidata da un inserviente; la seguiva una coppia di cavalieri, collocata in corrispondenza del blocco di testata, e un carro trainato da buoi condotto da un personaggio maschile con copricapo a pileo. Di grande suggestione appare la defunta con l'alto copricapo, orecchini ad anello, fibule sul petto e lunghi guanti ricamati, un particolare, quest'ultimo che richiama con immediatezza lo schema base della figura femminile sulle più antiche stele daunie. Frammenti di lastre dipinte, molto simili per realizzazione a quelli ricordati, sono stati recentemente recuperati sempre ad Arpi nei pressi di tombe saccheggiate, pertinenti a due complessi differenti o a parti diverse di uho stesso. Uno di essi conserva la porzione inferiore di una figura su un cavallo a galoppo; l'unione di altri tre frammenti, di fattura diversa dal precedente, restituisce le porzioni inferiori di due figure a cavallo. Si leggono agevolmente su tutti i blocchi figurati numerose linee incise, dalle quali talvolta è ben identificabile il disegno successivamente coperto dalla figura dipinta a colore pieno che cosi veniva ad annullare precedenti e mal riusciti tentativi di impostare le immagini. Nella stessa Arpi il già ricordato ipogeo della Medusa comprende esempi di esperienze pittoriche fra loro differenti. Un frammento di architrave sulla parete destra del vestibolo conservava il lembo inferiore di una scena di “deductio ad inferos”: si osservano le gambe di due personaggi (una nuda, l'altra con le frange) e le zampe di una pantera, residui di una scena sicuramente più complessa che, come nel precedente della tomba di Filippo a Vergina, doveva svilupparsi sull'intero architrave soprastante l'accesso. II vestibolo conservava sulla parete opposta un pregevole pinax dipinto limitato con una linea nera sul fondo rosso. Un personaggio togato, che solo nello schema generale richiama il magistrato dell'omonima tomba pestana, è preceduto da un palafreniere con berretto frigio e grande scudo circolare. Un iscrizione greca corre al di sopra della figura principale, la firma di Artos, autore del quadretto. Lo stesso pavimento del vestibolo, peraltro, era dipinto impiegando il colore nero sul fondo giallo: purtroppo, di esso si è preservata solo parte della coda pinnata di un animale marino, un delfino o un pistrice, gli stessi soggetti che sempre ad Arpi sono adottati per decorazioni pavimentali a mosaico: il mosaico a ciottoli della “casa a peristilio” e il mosaico dell'andron della “casa del mosaico dei grifi e delle pantere”. All'interno della tomba il vano centrale presentava un programma decoratitivo più complesso e di grande eleganza. II pavimento di cocciopisto comprendeva un emblema realizzato con frammenti di ciottoli e fittili con coppie di delfini e due pistrici, mentre sull'architrave correva un pregevole fregio vegetale con motivo di girali e fiori in giallino su fondo blu, una realizzazione che rivela un'esperienza matura dell'uso del colore e la ricerca di effetti bhiaroscurali. Inoltre, in una straordinaria sinfonia di colori azzurro e rosso la cornice di stucco a dentelli sottostante il fregio marcava, attraverso la rievocazione del marmo, Ia ricchezza e la finezza dell'ambiente che, senza ombra di dubbio, si presentava come la rievocazione della sala da banchetto (andron). Di un altro ipogeo arpano (tomba del Trono), con il tetto a doppio spiovente, era invece decorata solo la fronte: sull'architrave era rappresentata una scena di offerta ad una figura, presumibilmente femminile, seduta su un trono riccamente ornato e fiancheggiata da due donne stanti, quella a sinistra con un chitone blu. Nell'angolo destro era rappresentata un'alta cista troncoconica con decorazioni ottenute con il colore giallo oro, soggetto rievocativo dell'anibiente domestico femminile. Canosa Passando da Arpi a Canosa ricordiamo che dei grandi e numerosi ipogei canosini solo alcuni conservano residui di scene figurate dipinte. Ma il ricordo delle pitture delle tombe a camera architettonicamente più ambiziose è legato a narrazioni di autori ottocenteschi, come nel caso dell'ipogeo Lagrasta II nel cui interno erano dipinte scene di combattimento. Inoltre, Ia ricca ornamentazione parietale riprodotta in pregevoli acquarelli coevi alla scoperta fa immaginare un livello molto alto dal punto di vista qualitativo e in generale un impiego della decorazione parietale dipinta molto più ampio di quanto a noi sino ad oggi non sia pervenuto. Ad ipogei per cosi dire minori si riferiscono altri documenti canosini superstiti: si tratta dell'accesso ad un ambiente laterale dell'ipogeo del Cerbero e della fronte dell'ipogeo Sant'Aloia. L'ingresso di una cella secondaria dell'ipogeo del Cerbero, infatti, era decorato con un fregio figurato soprastante una porta inquadrata da una doppia cornice, rossa e nera, sormontata da un frontone con acroteri a palmetta; un'altra palmetta con due coppie di volute laterali campiva l'interno del timpano. Il fregio conserva oggi solo la porzione inferiore di una scena di deductio ad inferos. È centrale la raffigurazione di un Cerbero mostruoso ottenuto con una linea bruna. A sinistra convergono verso l'animale una figura maschile, Hermes psychopompos, che conduceva un personaggio ammantato, a sua volta seguito da un guerriero che portava per le redini un cavallo. A destra del Cerbero vi è un'ampia lacuna alla quale seguono le zampe posteriori di un cavallo e due figure ammantate, prefiche o parenti del defunto. La facciata dell'ipogeo Sant'Aloia, invece, conservava due figure femminili precedute da un cavaliere in movimento verso sinistra con un fiore di loto in mano; il timpano era campito da un animale la cui coda residua fa pensare ad una possibile identificazione con un drago, un delfino, o un pistrice. La collocazione delle pitture Un'occasione di riflessione è rappresentata dalla collocazione dei dipinti rispetto all'intero progetto architettonico tombale. Con l'eccezione della tomba dei Cavalieri di Arpi che, come quella delle Danzatrici di Ruvo, sviluppava all'interno del cassone un fregio figurato, le scene figurate sono sempre dipinte all'esterno del vano deposizionale. L'accesso, sia la facciata primaria o secondaria (Canosa: Sant'Aloia, Cerbero; Arpi: ipogeo della Medusa) sia il vestibolo (Canosa: Lagrasta, Barbarossa), sono gli spazi interessati dai soggetti figurati nella pittura o nella scultura. In generale si nota il passaggio da una prima adozione di temi narrativi o di soggetti simbolici all'interno della cella funebre, e quindi destinati esclusivamente al morto, alla loro proiezione all'esterno o meglio in luoghi accessibili e visibili da tutti durante il funerale. In questo momento, che ha inizio alla fine del IV secolo a.C., è canibiata, anche se lievemente, l' ideologia funebre nella quale l'ostentazione dello stato di ricchezza si esprime anche attraverso la deposizione di corredi ricchissimi sotto il profilo quantitativo (fenomeno della miniaturizzazione, duplicazione dei vasi con fondo cavo). Nel caso particolare dell'ipogeo della Medusa la collocazione del fregio dipinto sulla porta certamente ricalca una ispirazione progettuale complessiva che rievoca esempi della Grecia settentrionale (sempre la tomba di Filippo II): per la sua posizione esterna rispetto alle celle va ricordato ancora una volta che gli ipogei erano visibili e visitabili al loro interno solo al momento del funerale. È singolare quanto rilevato sulla tomba arpana con la scena di offerta dipinta sull'architrave. L'interro del dromos avvenuto di sicuro dopo l'ultimo funerale aveva seguito la chiusura del vano di deposizione con una porta di pietra (trafugata): la particolarità che questa coprisse la scena dipinta, indicata dalle tracce di essa residue sull'architrave, conferma che la godibilità delle pitture e i loro messaggi erano limitati alla sola occasione funebre. I soggetti Prescindendo dal fregio con girali che decora l'interno dell'ipogeo della Medusa, caso isolato in Daunia, ma di ampia diffusione anche nella stessa Puglia (ad esempio, a Monte Sannace), è possibile individuare le tematiche adottate di preferenza e riconoscere la loro ricorrenza nella pur ridotta campionatura di cui si dispone. Se la pittura della tomba dei Cavalieri propone il tema del corteo funebre, fornendo spunti anche per ricostruire le consuetudini delle classi emergenti in occasione dei funerali, in più casi la celebrazione del morto è affidata alla rievocazione di credenze ultraterrene. Hermes accompagna il defunto nell'aldilà simbolizzato dalla presenza di animali fantastici (Cerbero, pantera); il legame con la terra è segnato dalla raffigurazione della coppia di donne, prefiche o parenti. Un altro tema adottato con frequenza, legato alla eroizzazione del morto, è il combattimento, a piedi e a cavallo, che era raffigurato nell'ipogeo Lagrasta II e con probabilità decorava l'architrave di una tomba a camera di Salapia. Il soggetto, inoltre, è usato con frequenza su un gruppo di vasi a tempera fabbricati ad Arpi. La ricostruzione del quadro delle attività locali e delle relazioni esistenti fra più luoghi può essere esemplificata dall'analisi dei dipinti canosini del Cerbero e del Sant'Aloia, cui pare legittimo accostare il lembo di scena' infernale riconosciuto nella tomba della Medusa di Arpi. Essi, infatti, offrono spunti di riflessioni per la comunanza dei soggetti, ma anche del loro rendimento pittorico con un evidente tentativo di profondità spaziale cercato attraverso la collocazione delle figure su piani diversi, marcati alla loro base da fasce orizzontali di spessore differente. Medesimo era il soggetto e, forse, lo stesso il cartone. Il tema ebbe una grande popolarità se una sua eco è riconoscibile nelle pitture di una più tarda tomba a camera di Isernia, conservate al Museo nazionale di Napoli ove compare la stessa coppia di donnine presenti negli ipogei Sant'Aloia e del Cerbero. Nel caso della tomba iserniese è presente nuovamente Hermes, oltre ad una figura ammantata e ad un elemento rettilineo interpretato come un remotimone. Naturalmente sono possibili confronti per i singoli soggetti, come per l'Hermes psychopompos, presente anche in due tombe di Taranto, e per il Cerbero e. la pantera, raffigurati anche nei fregi della tomba François di Vulci. Infine, una ricerca più ampia suggerisce il riferimento ad un'area più volte chiamata in causa per l'età ellenistica, la Russia meridionale. Una tomba con la volta a botte di Kertsch presentava sugli stipiti della porta da un lato una figura maschile, dall'altro un personaggio femminile che iscrizioni designano come Hermes e Kalipso: la particolarità di quest'ultima, panneggiata come le donnine della Daunia e di Isernia, rafforza l'opportunità di cercare riferimenti pittorici anche su un raggio più ampio. Rimane, naturalmente, la possibilità di riscontro negli usi locali, confermati dalla presenza nelle sepolture più ricche di piangentt fittili le cosiddette “oranti”, spesso in piti coppie distinte per eta e per ruolo. Dunque, l'esiguità e la varietà dei documenti noti non consente di formulare proposte sull'articolazione delle attività pittoriche locali. La questione della stanzialità o mobilita, che peraltro per questa stessa area della Puglia si propone anche per la ceramografia apula a figure rosse, non può di certo avere soluzioni sulla base delle evidenze archeologiche attuali. La recente lettura dell'iscrizione sul pinax della tomba della Medusa come la firma del suo pittore, “Artos pinave” è, a questo proposito, un documento straordinario. Fatta eccezione per i casi rari nella ceramografia figurata magnogreca, ove peraltro ci si limita - e in rari casi - alla sola indicazione del nome dell'artigiano, quello arpano rimane l'unico esempio di firma su parete. Per di più il nome, come nella pittura vascolare greca di più antica tradizione, è accompagnato dal verbo. Il pittore del pinax di Arpi era di lingua greca, ma è più difficile, naturalmente, sapere se fosse greco o tarantino: la probabile datazione del pinax nell'ambito del II a.C., quindi in una fase di riutilizzo dell'ipogeo avvenuta in età postannibalica, aumenta la problematicità della ricostruzione, ma lascia cogliere una organizzazione più complessa delle maestranze con presenze forse di rinomata fama a quel tempo, se ritennero di dover lasciare il ricordo apponendo la propria firma. A proposito di questo problema, vale la pena ricordare che per la ceramica a figure rosse prodotta in Puglia in un arco cronologico grosso modo coevo alle esperienze parietali sinora descritte, ad una fase di importazioni da Taranto, fece seguito l'organizzazione (Canosa. Salapia, Arpi) di botteghe locali. La circolazione dei cartoni, dei quali si è sin qui illustrato l'esempio della scena infernale, era in realtà molto più complessa: la presenza nella stessa Arpi di repertori decorativi ricchissimi adottati nelle pavimentazioni a ciottoli o a tessere negli spazi abitativi e sulla ceramografia policroma locale testimoniano almeno nel caso di questo centro una ricchezza di attività e di circolazione di modelli che difficilmente possiamo immaginare fra loro autonomi. La connessione risalta nella coincidenza di singoli soggetti, ma soprattutto nella riproposizione notata su alcuni vasi policromi di scene di una certa complessità che fanno supporre la derivazione da un modello pittorico di diffusione locale (scene di deductio ad inferos, combattimenti). Altri esempi: i mosaici È rilevante poi ricordare che negli stessi secoli vigeva ad Arpi l'usahza di decorare gli ambienti principali delle case aristocratiche con mosaici figurati realizzati ricorrendo all'impiego di ciottoli di fiume, bianchi e neri o talvolta di colori differenti che dessero effetti di policromia. Nella stessa Arpi la tecnica a ciottoli conobbe sperimentazioni precoci con l'uso di frammenti fittili e ciottoli di fiume decapitati. Il pregevole emblema che decorava il pavimento del vano centrale dell'ipogeo della Medusa per la presenza del pistrice o dei delfini (confronta il mosaico della casa a peristilio) rappresenta una tappa intermedia di un processo che, in questa località, conosce un momento di straordinario rilievo nel mosaico con i grifi e le pantere. Il pavimento, relativo ad un ambiente centrale di un'altra casa arpana, forse un'esedra, era composto da un ornato decorativo di notevole qualità. Una serie di cornici, con meandri, delfini, motivi a rombi, comprendeva quattro riquadri ciascuno dei quali era campito da un grifo o da una pantera composti chiasticamente; risultanza dell'affiancamento di due coppie era una testa di bue ottenuta dall'alternanza del colore (bianco e nero) del fondo. Il patrimonio figurativo di questi mosaici deriva senza dubbio dalla Grecia settentrionale, cosi come l'esperienza nella tecnica dei ciottoli di fiume che conosce comunque in Daunia precedenti e diffusi esempi. Soprattutto, come gli stessi impianti abitativi di lusso per i quali, anche nell'insieme della decorazione, risulta lampante la relazione con il mondo greco. Compaiono dunque nei mosaici di Arpi soggetti animali domestici, fantastici, selvatici, marini composti in teorie, a coppia, o con una distribuzione sparsa cosi come nel caso di un mosaico a ciottoli di recente scoperta. Per quanto riguarda i soggetti sono diversi da quelli presenti nella pittura locale. Ciò che maggiormente stimola la curiosità è conoscere le relazioni possibili fra maestranze operanti con materiali diversi le cui attività, però; erano strettamente connesse. è peraltro evidente che gli effetti chiaroscurali raggiunti nelle pantere del mosaico di Arpi, con una attenta modulazione cromatica delle tessere, sono legati ad esperienze coeve maturate nella pittura. Conclusioni Analisi chimiche sui dipinti dell'ipogeo della Medusa consentono di avere una conoscenza più approfondita di questo aspetto importante per la conoscenza delle esperienze tecniche e dell' organizzazione del lavoro. Era molto ricca la tavolozza nella quale domipavano il nero, il rosso, il rosa, il giallo, l'azzurro e il bianco, naturali o artigianaii. La capace composizione degli impasti, poi, è la conferma di un'esperienza tecnica piuttosto progredita che negli stessi anni si riversa, con grande efficacia, anche nella decorazione di vasi a tempera, agglutinando i pigmenti del colore con gomma arabica. In conclusione si è delineato un profilo, molto generale, di una realtà quanto mai vivace e di una committenza che, decisamente, modulava il proprio gusto su modelli greci. Ci si chiede, a questo punto, quale ruolo si possa riconoscere a queste esperienze del nord della Puglia nella formazione del cosi detto ellenismo italico. Proprio le testimonianze di Arpi, che non hanno uguali per quantità e per tipologia nel resto della regione, fanno credere a buon diritto ad una posizione decisamente portante avuta da questa area, ma soprattutto da centri (appunto Arpi ) ai quali la politica filoromana delle aristocrazie dominanti comportava processi di trasmissioni culturali reciproche. ■ BIBIIOGRAFIA
E. Lippolis M. Mazzei (ed.), La Daunia dalla preistoria all'alto medioevo (1984), specialmente p. 185 ss. |
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