ETRURIEN



IL PARCO ARCHEOLOGICO E I TUMULI PRINCIPESCHI DI POPULONIA

Antonella Romualdi


Populonia,come testimoniano anche gli autori antichi, era 1'unica città etrusca fondata sul mare. Erainserita in territorio eccezionalmente ricco di risorse, per la vicinanza di uno dei giacimenti minerari più importanti dell'intero bacino del Mediterraneo, formato dai monti del Campigliese e dell'isola d'Elba, e per la presenza di un porto naturale, il golfo di Baratti, fornito di un entroterra lagunare, il lago di Rimigliano, oggi scomparso, che nell' antichità ha sempre rappresentato uno scalo obbligato per la navigazione legata alle principali rotte commerciali.

I resti dell'antica città con le necropoli, le mura di cinta, il santuario e l'abitato che sta venendo in luce sull'acropoli, il quartiere metallurgico, costituiscono oggi uno dei più straordinari complessi archeologici d'Italia, forse ancora non adeguatamente conosciuto sia per la scarsità degli interventi di ricerca compiuti fino ad oggi, sia per le stratificazioni non facilmente leggibili di un paesaggio fortemente segnato in epoca moderna dai lavori di recupero delle scorie di ferro lasciate dagli Etruschi che sigillavano gran parte delle necropoli e dell'abitato.

La storia degli scavi di Populonia è legata infatti allo sfruttamento compiuto nel XX secolo delle scorie di ferro ricche ancora di un'alta percentuale di minerale. Infatti i residui dell'attività di lavorazione del ferro protrattasi per quasi quattro secoli, il cui volume è stato stimato, assolutamente per difetto, in circa due milioni di tonnellate, si estendevano in un'area di quasi 200 ettari e avevano formato nel tempo vere e proprie collinette artificiali che rendevano difficoltoso l'esercizio della normale agricoltura.

Dopo alcune scoperte fortuite avvenute nell'Ottocento (fra cui quella della statua di bronzo detta l'Apollo di Piombino, rinvenuta presso la punta delle Tonnarelle nel 1832 ed oggi conservata al Louvre), dopo l'individuazione della necropoli di S.Cerbone e della tomba dei Letti Funebri nel 1897, ad opera del medico archeologo dilettante Isidoro Falchi che già aveva scoperto i resti della città di Vetulonia, è proprio con la concessione rilasciata dallo Stato Italiano a società private per l'utilizzo delle scorie etrusche che dal 1920 al 1957 vengono alla luce la maggior paite delle tombe del VII e VI secolo a.C. Naturalmente i lavori massicci effettuati con mezzi meccanici se da una parte furono l'occasione per la scoperta di gran parte di quei monumenti che oggi possiamo ammirare, dall'altra recarono danni ingenti al patrimonio archeologico di Populonia. A questo si aggiungono le pesanti distruzioni operate dai tombaroli nel corso degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo nelle necropoli che si estendono nel fitto della macchia mediterranea per decine e decine di ettari. Pertanto, possiamo dire oggi che a causa di questi fattori abbiamo perduto in moltissimi casi la possibilià di interpretare, sulla scorta di scavi condotti scientificamente, quei dati storici, socio-economici e religiosi che avrebbero restituito un affresco chiaro e vivace di una città densamente abitata e variamente articolata la cui popolazione, molto eterogenea, viveva in funzione delle attività estrattive e manifatturiere ed in funzione del porto e del mare. Populonia attende ancora di essere esplorata più compiutamehte mentre l'individuazione e la lettura diacronica dei confini territoriali in rapporto a quelli delle altre città etrusche del distretto minerario settentrionale, e cioè Volterra e Vetulonia, e la dinamica dei rapporti intercorsi fra queste città per il controllo e lo sfruttamento delle miniere del Volterrano, di Massa Marittima, del Campigliese e dell'Elba, oggi largamente sconosciuti, costituiscono uno dei problemi cruciali per ricostruire la storia dell'intera civiltà etrusca.

Tra il IX e l'VIII secolo a.C. i sepolcreti di Poggio del Molino o del Telegrafo, nella zona che costituirà la futura città alta, del Poggio della Porcareccia, di S.Cerbone e di Piano e Poggio delle Granate, rivelano la presenza di una serie di villaggi variamente dislocati di cui per il momento non abbiamo alcuna testimonianza archeologica. Gli scavi condotti negli anni Venti e Trenta del XX secolo, in una area non interessata dagli scarti di lavorazione del ferro, hanno portato alla luce numerosi corredi tombali il cui studio ha perrnesso di individuare a Populonia, tra il IX e l'VIII secolo a.C. una fitta trama di relazioni con i centri dell' Etruria meridionale costiera (Vulci, Cerveteri, Tarquinia), con l'Etruria Padana (Bologna), con l'Umbria, con la Corsica e soprattutto con la Sardegna.

A Populonia in questo periodo sono testimoniati contemporaneamente il rito dell' incinerazione entro ossuari deposti in pozzetti o in tombe a camera e quello dell'inumazione con tombe a fossa e a camera. Nella necropoli di Poggio delle Granate è documentato il più antico esempio finora noto di tomba costruita con una copertura della cella dove venivano deposti i defunti, e cioè la tomba cosiddetta del Rasoio Lunato, che prende il nome da un elemento del corredo che caratterizza una delle sepolture come appartenente ad un individuo di sesso maschile. La precoce comparsa di questa caratteristica struttura tombale è stata fino ad oggi messa in relazione con i contatti ben documentati tra Populonia e la Sardegna nuragica.

Le tombe a camera villanoviane, costruite con lastre e bozze di calcare locale (le cave si trovano ancora oggi sul Poggio delle Granate), presentano una camera a pianta ellittica che spesso si restringe verso l'ingresso, quasi sempre orientato a Sud, ed una copertura a pseudo-cupola costituita da filari aggettanti di pietre di piccole dimensioni. Oggi nessuna di queste tombe di cui abbiamo le relazioni di scavo è più individuabile sul terreno, mentre un gruppo di tombe devastate dallo scavo clandestino, visibili all'interno di un boschetto attende di essere scavato in maniera scientifica cercando di recuperare più dati possibili. Anche le tombe a camera villanoviane scoperte casualmente nel 1972 sul Poggio del Molino o del Telegrafo, dislocate su di un ripido pendio che guarda il mare e caratterizzate da una cella a pianta molto irregolare dovranno diventare oggetto di ulteriori ricerche.

È importante notare come le tombe a camera a pseudocupola siano attestate solo nelle necropoli di Poggio e Piano delle Granate e di Poggio del Molino o del Telegrafo mentre risultano assenti a S.Cerbone e sul Poggio della Porcareccia. Con ogni probabilità questa situazione è da imputarsi all'emergere di alcuni gruppi familiari all'interno delle comunità che controllavano l'accesso ai giacimenti minerari e l'organizzazione degli scambi e del trasporto dei minerali.

Le tombe monumentali a camera con copertura a pseudocupola e crepidine cilindrica su cui è impostato il tumulo di terra, che appaiono anche a Populonia come nel resto dell'Etruria agli inizi del VII secolo a.C.,costituiscono una delle espressioni più significative del potere e del prestigio raggiunto dalle elites aristocratiche che controllavano l'accesso alle miniere e lo sbocco al mare. La crepidine impiantata direttamente sul bancone naturale d'argilla, è costruita con blocchi squadrati di panchina (una pietra arenaria locale estratta dalla vicina cava delle Grotte), a filari sovrapposti ed è circondata da un marciapiede lastricato, formato da lastre di alberese (il calcare locale) inclinate verso l'esterno e delimitate da piccole lastre sporgenti messe di taglio. Dalla sommita della crepidine sporgono alcune lastre di alberese inclinate che costituiscono il grundarium, sostenute al di sotto da un'altra serie di lastre che formano il subgrundarium, per lo sgrondo delle acque piovane che in questo modo, senza danneggiare il paramento della crepidine, scorrono giti dal tumulo e cadono sul marciapiede esterno. Sopra il grundarium una fila di piccoli blocchi squadrati forma una sorta di anello di contenimento del tumulo. Il marciapiede lastricato si interrompe di fronte all'ingresso del dromos, il cui accesso era ostruito da un grosso lastrone di panchina. La cella a pianta quadrata, con la porta d'ingresso delimitata da due stipiti laterali ed un architrave formati da grossi lastroni d'albeiese, contiene alcuni letti funebri di panchina. Agli angoli della cella, le cui pareti sono costruite con blocchi di panchina con la stessa tecnica usata per la crepidine e per le pareti del dromos, si impostano i pennacchi laterali, formati da piccole lastre di alberese inclinate e gradatamente aggettanti, che servono di raccordo fra la camera a pianta quadrata e la cdpertura e su cui si imposta la pseuddcupola. Questa è costruita con lastroni di alberese inclinati e gradualmente sporgenti, in modo da formare come tanti anelli che si restringono sempre di più verso l'alto fino ad annullarsi e chiudere cosiì la pseudocupola.

L'apparire del nuovo tipo di tomba a camera a Populonia agli inizi del VII secolo a.C., contemporaneamente a quanto è documentato nelle città dell'Etruria meridionale, in particolar modo a Cerveteri, si rivela un dato di grande interesse che confernra l'importanza e il ruolo di questa città già evidenziato nell'età del Ferro.

Il fatto che la tomba a camera a pseudocupola con crepidine sia documentata fino ad oggi solo nella necropoli di S.Cerbone e non in quelle di Piano e Poggio delle Granate che, pur continuando ad essere utilizzate anche nella piima metà del VII sec.a.C., sembrano subire ora una flessione, riflette alcune delle complesse dinamiche che portarono alla formazione della città testimoniando l'avvicendarsi di vari gruppi alla guida della città.

IL tumulo dei Carri nella necropoli di S.Cerbone è il più grande e il più imponente di quelli finora conosciuti a Populonia. Sul dromos orientato ad Est, si aprono tre ce,llette di piccole dimensioni, una sul lato destro e altre due sul lato sinistro. La scoperta della tomba è avvenuta in due tempi: nel 1914 furono messe in luce la camera principale e la celletta a destra ancora munita del lastrone di chiusura dove fu rinvenuto il currus. Nel 1921 furono scoperte le altre due cellette assieme ai resti del calesse e di parte del currus. Assai esiguo è il numero delle testimonianze giunte fino a noi relative alle deposizioni che si sono succedute nella camera principale.

Oltre ai frammenti di uno scudo di bronzo a decorazione geometrica, rinvenuto sopra uno dei letti funebri e pertinente con ogni probabilità alla deposizione più antica, oggi non più rintracciabile, e ad un incensiere frammentario di tipo vetuloniese, anch'esso disperso, menzionato assieme ad altri frammenti di vasi non identificati, sono ricordati nella camera dagli scavatori “numerosi frammenti di oggetti di ferro per la maggior parte corrosi dall'ossido in modo da non poter distinguere le forme: sono riconoscibili solo alcuni codoli e puntali di lancia a foglia allungata e alcune lame di coltello”.

Si conservano due pendenti d'oro di forma globulare, uno dei quali recuperato sotto il lastrone di chiusura della cella mentre della fibula d'oro a sanguisuga con staffa lunga, assegnata come premio di rinvenimento al proprietario del terreno, oggi dispersa, rimane solo un disegno: questi oggetti sembrano individuare una deposizione femminile riferibile al terzo quarto del VII secolo a.C.

Il complesso di oggetti rinvenuto assieme ai resti del currus nella cella laterale connotano un personaggio di rango, presumibilmente di sesso maschile come è indicato dalla presenza dei puntali di bronzo, delle punte di freccia, del corno potorio d'avorio con lamine d'argento e d'oro decorate ad incisione e del corno musicale di bronzo. Più che come armamentario da guerra gli oggetti del corredo devono essere interpretati come i segnali che documentano l'esercizio di un' attivita riservata comunque alle elites come quella della caccia.

Il carro da corsa o cumls, decorato con lamine dibronzo intarsiate in ferro applicate tramite imperniature metalliche e cuciture sul cuoio e sul legno, probabilmente prodotto in una officina di Vetulonia o di Populonia, deve essere stato deposto nella tomba già smontato ritualmente.

Le parti decorative di questo perfetto piccolo carro da corsa per le tecniche impiegate, per l'iconografia e per lo stile dei nuclei ornamentali costituiscono un documento eccezionale che ci fa intravedere l'alto grado di raffinatezza e di abilit#&224; raggiunto dalla metallurgia, nonchè la vivacità e l'apertura di una bottega artigianale localizzata con ogni pobabilità a Populonia o comunque nel distretto minerario etrusco settentrionale, in un momento cruciale per la formazione della cultura etrusca come quello che corrisponde alla prima metà del VII sec.a.C. In questa area del Tirreno settentrionale la circolazione di merci e di persone dovev,a essere particolarmente intensa e variegata, con una forte componente di mercanti fenici.

Sulle lamine di rivestimento che compongono il fregio decorativo sono raffirgurate teorie di leoni e di felini alati,gradienti, a volte contrapposte a volte convergenti verso il centro; ciascuna parte del fregio è delimitata superiormente ed inferiorlnente da un motivo a treccia.

L'iconografia e la resa stilistica degli animali ben si inseriscono nella temperie figurativa orientalizzante etrusca della prima metà del VII sec.a.C., testimoniata anche nella decorazione a sbalzo degli scudi di bronzo e delle oreficerie prodotte nelle officine dell'Etruria meridionale.

Il repertorio decorativo del fregio del carro di Vulci pare rappresentare l'antecedente diretto di quello del currus di Populonia, testimoniando l'adesione ad un patrimonio decorativo comune per la realizzazione di questo tipo di arredo. Tuttavia l'ambiente in cui si inseriscono i rilievi del carro da corsa populoniese risulta quello del distretto minerayio settentrionale.

Lunghe indagini preventive al restauro del monumento sono state condotte da architetti specialisti dell'Università di Firenze in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Toscana. È stato così realizzato uno studio approfondito per comprendere il funzionamento originario della struttura grazie anche all'esecuzione di un saggio di scavo. Sotto alcuni strati in parte moderni, riportati da Antonio Minto, ed in parte, in alcune zone forse ancora riferibili al terreno di riempimento antico, quelli superiori contenenti numerosi frammenti di laterizi e gli altri ricchi di scorie ferrose e di materiali di epoca arcaica, è stato possibile individuare il tumulo originario, composto da un grosso strato rosso in cui si conservavano frammenti di ceramica dell'Età del Ferro. Un sottile strato di argilla gialla che si estendeva su tutta l'area con andamento obliquo verso l'esterno ed una pendenza fortemente accentuata, aveva la funzione di sigillare ed impermeabilizzare. il tumulo. Oltre alle tracce degli interventi moderni realizzati dal Minto che aveva rifatto gli anelli piti bassi della pseudocupola, è stato individuato un grosso strato di blocchi e di lastre di piccole dimensioni che poggia sul terreno della fondazione e che si sviluppa all'interno della struttura con la funzione di drenare o smaltire le acque all'interno della tomba.

Il sistema messo a punto dagli antichi costruttori della tomba dei Carri per impedire le infiltrazioni di acqua piovana prevedeva una doppia barriera: la prima costituita dal fitto manto erboso posto a ricoprire il tumulo; la seconda realizzata disponendo con estrema cura uno strato di pochi centimetri di spessore di una terra ricca di minerali argillosi, posto poco al di sotto del profilo esterno del tumulo in modo da ricoprirlo tutto fino alle lastre del grundarium. Caratteristica fondamentale di questo secondo strato è risultata proprio la sua notevole capacità di assorbire l'acqua (aumentando anche sensibilmente il proprio volume), e quindi di impedirne il passaggio.

Nel corso delle indagini si è anche potuto constatare che questo efficiente sistema risultava totalmente asportato nella parte centrale del tumulo ed in tutta quella periferica: nella parte centrale a seguito del crollo della pseudocupola di copertura della cella avvenuto in antico; ih quella periferica, invece, a causa della sistemazione realizzata in epoca moderna da Antonio Minto, che aveva tagliato lo strato argilloso ed aveva anche notevolmente incrementato il carico del profilo periferico del tumulo con il suo forte ispessimento, rispetto al più probabile andamento originario indicato dallo strato argilloso, aggravando in tal modo lo stato di dissesto della crepidine. A partire dunque dal completamento della sistemazione della tomba dopo lo scavo, avvenuta tra il 1923 ed il 1925, le continue infiltrazioni d'acqua nella zona periferica ed in quella centrale della costruzione ne avevano pesantemente compromessa la stabilità.

L'intervento di restauro doveva quindi, in primo luogo, ricostituire un insieme di condizioni sufficientemente paragonabili a quelle originarie, capaci di ristabilire, nei limiti del possibile, il funzionamento strutturale dell'intero monumento, così come era stato pensato e realizzato dai suoi antichi costruttori.

Per restituire completezza al sistema di impermeabilizzazione originario si è deciso di ricoprire il tumulo con una geomembrana, la cui collocazione rendeva possibile anche l 'asportazione dello strato di terreno di riporto che appesantiva il tumulo. Si poneva il problema della mancanza di terreno nella parte centrale del tumulo in corrispondenza della pseudovolta crollata. La parte mancante è stata ricostituita supportandola con una struttura reticolare in acciaio, composta 16 elementi collegati e disposti a raggera, esternamente tamponata da pannelli piani in lamiera. La struttura è stata collocata sulla superficie piana del tumulo attorno alla camera centrale; un passo d'uomo ne consente la periodica ispezione all'interno ed una presa d'aria centrale garantisce il controllo del microclima sottostante alla camera.

Sulla sua superfice esterna è stato quindi collocato lo strato di materiale terroso necessario alla ricostituzione del profilo del tumulo. Sullo strato di terreno così riportato è stata adagiata la guaina in p.v.c.,opportunamente ancorata al grundarium e dotata di appositi raccordi per la presa d'aria ed il passo d'uomo. Infine è stato disposto lo strato esterno di venti centimetri di terra con una griglia speciale atta a sostenere l'avvio della crescita delle graminacee. La copertura della camera è stata realizzata con una calotta autoportante in vetroresina che potesse suggerire la forma originaria della pseudocupola.

L'intervento di restauro della tomba dei Carri di Populonia viene oggi indicato come uno dei piú importanti e significativi nell'ambito dei monumenti dell' architettura funeraria etrusca.

Di grande interesse è la presenza a Populonia di un tipo di tomba con crepidine ad avancorpo:l'ingresso si protende davanti alla crepidine o tamburo formando un avancorpo. Il tipo, attestato da tre esempi, è rappresentato nella necropoli di S.Cerbone dalla tomba detta delle Pissidi Cilindriche per le due “powder-pyxides” protocorinzie venute alla luce tra i materiali dei ricchissimi corredi, certamente riferibili a più deposizioni scaglionate nel tempo. Oltre all'avancorpo anche la camera, pur presentando lo stesso sistema di copertura della tomba dei Carri, ne differisce poichè il piano di calpestio risulta lastricato con piccole lastre di alberese. I letti funebri, privi delle zampe modanate e realizzati con grossi lastroni squadrati appoggiati su lastroni messi per taglio verticale, richiamano alla mente le tombe a camera orientalizzanti scoperte recentemente nella necropoli di Casa Nocera a Casale Marittimo, in una area di cerniera tra il territorio volterrano e quello populoniese.

La presenza all'interno dei corredi della tomba delle Pissidi Cilindriche di un lotto di materiali di impasto di un tipo che trova significativo riscontro nelle necropoli tardovillanoviane e del primo orientalizzante di Volterra e del distretto minerario dell'Accesa, rivela la data alta nel VII secolo a.C. cui far risalire la comparsa di questo tipo di tomba a camera a Populonia.

Accanto alle tombe a tumulo a pseudocupola con crepidine, in un momento forse più avanzato del VII, fa la sua comparsa la tomba a tumulo a pseudocupola senza crepidine, con il tumulo di terra impostato sulld stesso piano della cella, rivestito esternamente da uno strato di argilla che lo rende impermeabile, e circoscritto alla base da un circolo di pietre. Una delle tombe meglio conservate di questo tipo è la tomba dei Colatoi nella necropoli del Casone con la copertura ancora intatta.

La tomba dei Flabelli, rinvenuta nel 1927 con la copertura a pseudocupola intatta, che prende il nome dai tre straordinari ventagli di bronzo decorati a sbalzo che connotano l'alto lignaggio di uno dei personaggi sepolti all'interno, del tipo con crepidine costituisce un unicum per la presenza delle due stele di calcare poste vicino all'ingresso apparenterilente senza alcuna traccia di iscrizioni o di decorazione. I materiali rinvenuti nel corredo, più di 340 preziosi oggetti che rappresentano in modo significativo la cultura composita dell' orientalizzante etrusco, individuano l'esistenza di almeno 4 deposizioni.

■BIBLIOGRAFIA

A.de Agostino, Populonia - La città e la necropoli(1965)
A.Emniozzi(ed.),Carri da guerra e principi etruschi,Catalogo dena Mostra,Viterbo 1997-1998(Roma 1997)
F.Fedeli,Populonia - storia e territorio(1983)
A.Minto,Populonia(1943)
A.Romualdi,Populonia




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